Con il contratto di lavoro intermittente, denominato anche “lavoro a chiamata”, il lavoratore mette a disposizione di un datore di lavoro la propria prestazione lavorativa, sia a tempo indeterminato che a termine, con o senza l’obbligo di rispondere alla chiamata.
Dal punto di vista pratico, il contratto di lavoro intermittente prevede gli stessi costi di un ordinario rapporto di lavoro subordinato ma, si differenzia da quest’ultimo per l’assenza di un orario di lavoro predeterminato. L’orario di lavoro effettivo, infatti, sarà deciso con la “chiamata” del datore di lavoro che, prima della prestazione lavorativa, sarà tenuto a darne comunicazione all’Ispettorato del lavoro tramite apposite procedure telematiche. Pertanto, la sua applicazione si rivela estremamente utile per lo svolgimento di quelle attività che prevedono forti picchi di lavoro seguiti da periodi di stallo più o meno lunghi.
Condizione primaria per stipulare un contratto di lavoro intermittente è la discontinuità della prestazione. Può intendersi discontinua anche una prestazione resa per periodi di durata significativa, purché intervallati da una o più interruzioni, in modo tale che non vi sia una esatta coincidenza tra la durata del contratto e la durata della prestazione.
Il contratto di lavoro a chiamata è sempre ammesso per prestazioni rese da soggetti con meno di 24 anni o con più di 55 anni di età. Per i lavoratori che non rientrano in questi limiti di età, il ricorso al contratto di lavoro intermittente è ammesso nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro; infine, se il contratto collettivo applicato non disciplina il lavoro a chiamata, vi si può ricorrere per le attività discontinue previste dal Regio Decreto n. 2657/1923.
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